Un colpo al cerchio un colpo alla botte.
Così si può sintetizzare la decisione della FED, che, come previsto, ha lasciato immutate le cose, ma che, allo stesso tempo, ha cercato di smorzare l’ottimismo.
Una decisione, quella della Banca Centrale Americana, data per scontata dalla maggior parte degli analisti dopo la conferma del rallentamento dell’inflazione comunicato il giorno precedente.
Subito dopo, però, il Presidente Powell ha messo “sul chi va là”, dando quasi per certo (seppur rimandando all’osservazione dei prossimi dati qualsiasi ulteriore decisione) che nel prossimo summit già programmato per il 25 e 26 luglio si “recupererà”. Non escludendo, peraltro, che possa esserci anche successivamente un nuovo rialzo, al punto che molti ritengono che il “terminal rate”, vale a dire il punto di arrivo dei tassi americani possa arrivare sin verso il 5.50-5,75%, con una stima “media” del 5,6%. Ricordiamo che quanto si qui accaduto, con 10 rialzi di fila, per complessivi 5 punti percentuali, fa rientrare la manovra della FED tra le più forti che si ricordino, fatto che indubbiamente ha contribuito la FED ad ammorbidire i toni (anche perché negli USA il livello dei tassi già ora è ben superiore al livello in cui si trova l’inflazione, scesa a maggio al 4%, anche se quella “core”, quella più “appiccicosa” persiste intorno al 5%).
A dire il vero, gli ultimi esempi non sono un invito all’ottimismo. Se guardiamo, infatti, a quanto hanno messo in atto le Banche Centrali di Canada e Australia (certamente, va detto, non fra le più influenti del pianeta, ma comunque ben in vista), il messaggio sembra essere chiaro: dopo lo stop (ben cinque mesi in Canada, uno in Australia), entrambe sono corse ai ripari, riprendendo il percorso degli aumenti.
Si allentano, allo stesso tempo, le tensioni sull’arrivo, sempre negli Usa, di una recessione. In realtà, solo una minima parte di gestori e analisti ritiene che non ci sarà: la maggior parte, infatti, è convinta che l’economia dovrebbe subire un rallentamento, ma che la cosa non dovrebbe avere ripercussioni così gravi.
Oggi sarà il turno della BCE: praticamente certo un ritocco di 25 bp, con i tassi che dovrebbero raggiungere il 4%, con i mercati che già “scontano” un ulteriore rialzo a fine luglio di un altro 0,25%.
Rimane confermato l’obiettivo “target” dell’inflazione al 2%: si allungano, però, i tempi per il suo raggiungimento. Se prima si riteneva che già entro il 2024 si potesse raggiungere quel livello, ora la data viene spostata più avanti di 1 anno, arrivando al 2025. Di conseguenza, il “rientro” dei tassi, con il ripristino di una politica più accomodante, sarà più lento, costringendo il “sistema” ad un costo del denaro piuttosto alto anche per l’anno prossimo. A “contorno”, non va dimenticato che l’inasprimento monetario non si limita all’aumento dei tassi, ma prosegue anche attraverso il rientro dei prestiti al sistema bancario europeo (TLTRO): entro questo mese dovrebbe “rientrare” alla BCE circa € 477 MD, che seguono gli 831 già rimborsati sino a marzo). Senza contare lo “stop” agli acquisti dei titoli governativi, come ben sa il nostro Tesoro, anche per questo spinto a seguire la strada di nuove emissioni rivolte alla clientela retail (vd il clamoroso successo del BTP Valore), fatto che sta portando sempre di più il nostro debito pubblico in mani “domestiche”, quindi più “amiche” e fidate di quanto non siano gli investitori esteri, pronti ad indirizzare le loro scelte di volta in volta là dove i rendimenti sono maggiori o il rischio politico inferiore (ma le 2 cose quasi sempre vanno a braccetto).
Lo scontato stop della FED ha portato a chiusure contrastate gli indici americani.
Bene il “solito” Nasdaq, a + 0,70%, trascinato ancora una volta dalle società “large capital”, in primis Tesla e Nvidia, vere “star” di questa fase.
Negativo, invece, il Dow Jones, che arretra dello 0,70%; piatto lo S&P 500 (+ 0,08%).
Si prende una pausa, questa mattina, il Nikkei, che, dopo nuovi massimi di periodo nell’intra-day, si appresta a chiudere appena negativo.
Bene Shanghai (+ 0,62%) e, ancor di più, Hong Kong, con l’Hang Seng a + 1,51%.
Futures appena sotto la parità un po’ ovunque, con ribassi compresi tra lo 0,10 e lo 0,40%.
Petrolio sempre nella fase di debolezza, con il WTI a $ 68,71 (ieri in calo di oltre 1,5%).
Gas naturale Usa a $ 2,328.
Ancora in rialzo, dall’altra parte, quello europeo, con il prezzo del megawattora che si è riavvicinato a quasi € 40.
Oro a $ 1.947 (- 1,17%)
Spread sempre ai minimi di periodo (161,6 bp), con il BTP al 4.07%.
Bund al 2,45%.
Treasury al 3,83% dal 3,78% del giorno precedente,
€/$ a 1,081, con il biglietto verde in leggero indebolimento.
Continua la sua discesa il bitcoin, che si porta sotto i $ 25.000 (24.975).
Ps: 1 cittadino su 4 vicini o sotto la “soglia di povertà”. 14,3 ML di persone senza un lavoro o con un reddito famigliare inferiore al 60% di quello medio. 2,6 ML di persone che hanno avuto difficoltà a mettere insieme un pasto regolare ogni 2 giorni. Si sta parlando di un Paese emergente? No. Stiamo parlando dell’Italia del 2022. Di un Paese che, l’anno scorso, è cresciuto del 3,7% e che rientra tra le prime 8 economie al mondo. Ma dove, evidentemente, le disuguaglianze sociali permangono in maniera molto evidente (come sono lontani i proclami sulla “sconfitta della povertà”…).